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  • Quali prospettive per i giovani provenzalisti?
  • Giuseppe Noto

Friedrich Diez, uno dei padri nobili di tutti noi studiosi di letteratura medievale in lingua d’oc, ai primordi degli studi scientifici sui trovatori dedicava, come è noto, parole del tutto perentorie all’uniformità, all’unità di carattere poetico della poesia trobadorica (cito per comodità di reperimento dalla traduzione francese: Diez 123–124):

Parcourez du regard le domaine lyrique des troubadours, prenez indistinctement, comparez; ce qui vous frappera tout d’abord, c’est l’unité de caractère poétique. Cette littérature semblerait l’oeuvre d’un seul poète; toutefois, un chant modulé sous l’empire d’impressions diverses.

On le devine: çà et là surgissent des individualités fortement tranchées …. Il n’en reste pas moins vrai qu’un seul et même esprit plane sur cette littérature …. C’est toujours d’un même point de vue que le poète envisage son sujet.… le siècle impose à ses enfants une manière commune de penser et de sentir.

E va detto che ancora oggi la lirica trobadorica viene spesso recepita (e non solo tra i non addetti ai lavori) come un sistema (formale e ideologico) che vive sostanzialmente uguale a se stesso indipendentemente da variazioni che possiamo definire diacroniche, diatopiche, diastratiche, diafasiche e diamesiche (come ho scritto: Noto). Eppure appare ormai chiaro (perlomeno a me appare chiaro) che così non è: la lirica trobadorica, come qualunque sistema linguistico e insieme ideologico, muta in funzione del tempo, dello spazio, della condizione sociale e culturale del mittente (la figura storica del poeta), della situazione comunicativa specifica (argomento, destinatario, ecc.). Questo vale tanto per la storia, per così dire, “interna” della lirica dei trovatori quanto per le sue ri-codificazioni sul piano europeo almeno fino a Petrarca (il quale certamente rappresenta lo [End Page 97] snodo fondamentale che rinnova tutta la tradizione): giacché va sottolineato che la storia della lirica europea è per molti versi la storia stessa della poesia dei trovatori, della sua varia ricezione e delle ri-codificazioni cui è andata incontro nei diversi contesti sociopolitici e socioculturali. Dobbiamo infatti dire con forza che la letteratura trobadorica è viva; ed è viva proprio perché ha saputo ibridarsi e trasformarsi, fino a diventare elemento costitutivo, per così dire, “disciolto” nella cultura europea. È innanzi tutto ai meccanismi di queste ibridazioni che oggi deve andare a mio parere l’attenzione degli studiosi: il mio invito è a una filologia delle dinamiche della permanenza e dell’innovazione; e a una filologia delle zone di contatto e di intersezione, dove le mescidazioni in cui è implicata la cultura cortese occitanica appaiono più evidenti e più significative (sulla filologia delle zone di contatto molto interessante il recente volume di Rapisarda).

Come ha ben scritto Formisano (8):

l’irraggiamento europeo della poesia dei trovatori è inseparabile dall’idea di una translatio studii che traduce il sentimento di appartenenza a una comune civiltà letteraria, ma anche la consapevolezza di un superamento.

Mi limito qui a indicare (semplicemente a mo’ di esempi) due soli tra i molteplici spunti possibili (frutto anche di discussioni con l’amico e collega Walter Meliga):

  • • spesso il testo lirico nella cultura europea è, sin dalla poesia dei trovatori, luogo della creazione o dell’individuazione di un’alterità e di una diversità (dall’opposizione cortesi/villani di Gugliemo IX ai fedeli d’amore dello Stilnovo, per arrivare al sonetto proemiale del Canzoniere di Petrarca e ancora più in là, per esempio, all’“Albatros” di Baudelaire e in generale a tutta la produzione di Rimbaud); [End Page 98]

  • • la “cortesia” (ovvero la civiltà della corte) permane, con poche variazioni, almeno fino al Rinascimento italiano (e poi, tramite il binomio armi e amori “inventato” da Bertran de Born, arriva alle tradizioni militari dell’impero britannico).

Se guardiamo poi alla storia interna stricto sensu della lirica trobadorica, va ricordato un elemento tanto ovvio quanto spesso poco considerato, ovvero che non tutti i trovatori sono del Midi francese: pensiamo alla grande esperienza dei trovatori catalani e a quella dei trovatori italiani (la cosiddetta “imitazione prima”). E si rammenti come successivamente, quando inizierà la cosiddetta “diaspora trobadorica,” già si fosse formata una tradizione lirica di impianto trobadorico nel Nord della Francia, nelle regioni renano-danubiane e forse...

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