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  • Ricordi figurativi ne La stanza del Vescovo di Piero Chiara
  • Andrea Mirabile

Il giorno dopo è proprio la Vigilia e la gente taccail portico con su i fagottini colorati di porcherie,ma soprattutto enzobiagi e pierochiara chesi vendono come confetti a una pesca per zitelle.1

Quando, nel 1976, Piero Chiara pubblica La stanza del Vescovo, è ormai un autore di sicuro successo commerciale, a dispetto dell'accoglienza talvolta tiepida riservatagli dagli addetti ai lavori. Anche questo breve romanzo, che mescola abilmente alcuni moduli classici del genere 'giallo' a frequenti inserti di carattere erotico, comicità e satira sociale, si garantisce da subito l'interesse del grande pubblico, con centinaia di migliaia di copie vendute, varie traduzioni e numerose ristampe; sia la struttura narrativa che quella tematica, infatti, appaiono sapientemente architettate per raggiungere un ampio spettro di lettori. Tuttavia il testo esibisce, oltre la superficie brillante delle vicende dei protagonisti, alcuni nuclei più problematici, tra i quali spicca quello imperniato sul legame tra amore e morte. Di grande interesse, inoltre, la massiccia presenza di dati riconducibili al campo della visione, soprattutto in riferimento alle arti figurative, e il modo in cui gli elementi visivi assumono singolari valenze allegoriche, in parte appunto legate al binomio di Eros e Thanatos. Al di là dello stereotipo di intrattenitore senza eccessive ambizioni letterarie, con cui spesso viene tuttora [End Page 254] etichettato nonostante un rinnovato interesse critico, Chiara si rivela autore complesso, degno di un'attenta rilettura.2

Cominciamo con un sintetico riassunto dell'opera. Siamo nell'estate del 1946, sul Lago Maggiore. Il narratore (mai nominato), giovane che vive di rendita grazie ad una generosa eredità, dopo aver trascorso gli anni di guerra in Svizzera, passa le proprie giornate a bordo della sua barca a vela, La Tinca. Durante uno dei consueti vagabondaggi, stringe amicizia con quello che sulle prime sembra un elegante gentiluomo di mezza età, il Dottor Temistocle Mario Orimbelli. L'Orimbelli, laureato in Legge nullafacente, sposato ad una ricca ma sgradevole dama milanese, Cleofe Berlusconi, proprietaria di una grande villa sul lago, è reduce dall'Africa e maniacale donnaiolo. Tra un episodio boccacciano e l'altro, in cui Temistocle si distingue per voracità sessuale e assoluta amoralità, il narratore diventa presto ospite fisso della famiglia Orimbelli. Alloggiato in una confortevole quanto tetra stanza, che ospita i preziosi ma consunti abiti di un avo della Berlusconi, un alto prelato della diplomazia vaticana (il cui spettro a volte sembra visitare la camera), e un grosso baule di proprietà di Temistocle, il protagonista ha tutto l'agio di seguire la vita quotidiana dell'insolita famiglia. Questa include anche Matilde, prosperosa ragazza sposata al fratello di Cleofe, Angelo, commilitone dell'Orimbelli dato per disperso. Il narratore si infatua rapidamente della bella vedova, ma Temistocle non tarda a confidare all'amico di essere a sua volta innamorato di Matilde, e che il cognato non è affatto scomparso ma ha preferito far perdere le sue tracce, rimanendo in Etiopia. Dopo che la signora Berlusconi muore in circostanze misteriose, l'Orimbelli ne eredita le sostanze e sposa Matilde. Angelo Berlusconi, allarmato per una lettera ricevuta da Cleofe, torna in Italia e presto si scontra con [End Page 255] l'ex compagno d'armi, accusandolo di aver ucciso la prima moglie. Il presunto colpevole preferisce tuttavia il suicidio al carcere, e si impicca poco prima di essere raggiunto dalle forze dell'ordine. "Non saprete mai la verità," scrive in un sibillino biglietto d'addio. Tutto sembra precipitare verso un finale scontato; il narratore potrebbe ora diventare, senza alcuno ostacolo, l'unico amante della seducente e ormai ricca vedova, e condurre una vita agiata nella villa. Il giovane tuttavia preferisce, al lusso claustrofobico della dimora sul lago, le avventure spensierate in barca a vela—saluta per sempre la donna e parte.

Anche da questa scarna sintesi, è facile capire come ci si trovi davanti ad una sorta di campionario di tutte le risorse, immancabilmente ben calibrate, che hanno garantito la riuscita delle precedenti prove di Chiara: un avvincente intrigo dei sensi; i doppifondi inconfessabili della profonda provincia lombarda, con i suoi ritmi piacevoli e insieme soffocanti (resi anche col ricorso, moderato ma puntuale, a voci dialettali o regionali); l'irrisione di ambienti borghesi...

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