Les pratiques du moi (Paolo Costa); Antropologia filosofica (Antonella Cutro)

C Larmore, M Fimiani - SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), 2005 - francoangeli.it
C Larmore, M Fimiani
SOCIETÀ DEGLI INDIVIDUI (LA), 2005francoangeli.it
Non è facile capire che cosa possa avere spinto un brillante filosofo americano
contemporaneo a scrivere un'opera teoreticamente densa e ambiziosa, con tutta probabilità
il suo libro più importante sinora, in una lingua diversa dalla propria. Riflettendo sulle
possibili spiegazioni (più o meno pertinenti) di una scelta così singolare, viene spontaneo
supporre che abbia avuto un peso anche l'esigenza di porre ulteriore distanza tra sé e
l'ingombrante oggetto che troneggia al centro del libro: la natura dell'io, del moi …
Non è facile capire che cosa possa avere spinto un brillante filosofo americano contemporaneo a scrivere un’opera teoreticamente densa e ambiziosa, con tutta probabilità il suo libro più importante sinora, in una lingua diversa dalla propria. Riflettendo sulle possibili spiegazioni (più o meno pertinenti) di una scelta così singolare, viene spontaneo supporre che abbia avuto un peso anche l’esigenza di porre ulteriore distanza tra sé e l’ingombrante oggetto che troneggia al centro del libro: la natura dell’io, del moi. Ovviamente, le difficoltà connesse al tema non scemano quando, come fa l’autore, si opta senza remore per una concezione non sostanziale dell’io che lo intende come strutturale autorelazione. Anche in questo caso il principale ostacolo è rappresentato infatti da tutti quei paradossi e aporie che la nostra tradizione filosofica ha accumulato nel corso dei secoli tentando di mettere a fuoco il rapporto che il soggetto intrattiene con se stesso, la sua essenziale ‘riflessività’. In buona sostanza, l’ultimo libro di Charles Larmore consiste nel suo nucleo portante in un’analisi o «critica» della capacità tipicamente umana di ripiegarsi su se stesso, di decentrarsi, che va sotto il nome di riflessione e che pare in grado di produrre qualcosa di simile a una forma di conoscenza o di impegno sui generis che consente (solo) agli esseri umani di dire ‘io’in un senso pregnante. L’obiettivo del libro è pertanto ambizioso: sviluppare una vera e propria teoria, se non una «ontologia»(p. 93) dell’io. L’autore sceglie di prendere le mosse da un’originale analisi dell’ideale dell’autenticità. Quando un individuo può dirsi autentico? Ovviamente quando è pienamente se stesso. Ma come si fa a essere pienamente se stessi quando l’io è costantemente ed essenzialmente impegnato in un’autorelazione che lo pone sempre a distanza da sé? La risposta a questo dilemma classico è che l’individuo è autentico non quando riesce nel compito impossibile, e per certi versi ‘insensato’di essere fedele, di aderire al proprio sé più profondo e veritiero, ma quando si impegna a essere in una certa maniera, quando si fa personalmente carico delle implicazioni delle proprie credenze e dei propri desideri. In questo senso lato, la relazione che abbiamo con noi stessi e in cui consiste la soggettività umana è eminentemente di tipo pratico. Com’è noto, è possibile rintracciare un antesignano di questa con-
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