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  • La vita di Dante iuxta propria principia
  • Giuliano Milani

Nelle pagine che seguono cerco di rispondere alle cinque domande formulate nell'Ouverture da Elisa Brilli sui modi di procedere allo studio della biografia dantesca che semplificando tradurrei così: con quali fonti, a quale scopo, a quale prezzo, per quale storia, e con quale forma?

1) La riflessione sulle fonti costituisce la grande novità negli studi biografici su Dante dell'ultimo quindicennio. Il corpus dei testi utili come documenti non ha subito trasformazioni di grande rilievo dall'età del positivismo, ma oggi proviamo a osservarli con occhi nuovi. A questo approccio critico diamo il nome di "contestualizzazione." Da tempo ormai organizziamo incontri nei quali tali contesti sono osservati da diverse prospettive. Le nuove edizioni del Codice diplomatico Dantesco (De Robertis, Milani, Regnicoli and Zamponi 2016) e delle Vite di Dante dal XIV al XVI secolo (Bertè and Fiorilla 2017) danno, rispetto alle precedenti, informazioni sul contesto. Infine, un diverso modo di mettere in relazione i documenti con il loro contesto costituisce la fondamentale differenza tra le ultime due biografie del poeta apparse in lingua italiana (Santagata 2013; Inglese 2015).

In realtà con tale espressione intendiamo due cose diverse. Una è quella che sbrigativamente potremmo chiamare la "contestualizzazione degli storici" e cioè la lettura delle fonti utili alla biografia dantesca (documenti d'archivio, cronache, antiche vite e commenti) alla luce di altri documenti simili. Un'altra cosa è ciò che con una semplificazione altrettanto brutale possiamo chiamare "contestualizzazione dei dantisti," e cioè, la lettura delle opere di Dante alla luce del contesto storico.

Benché ritenga che queste due operazioni siano entrambe perfettamente legittime e che spesso sia necessario condurle insieme, penso che la prima debba logicamente precedere la seconda, per la banale ragione che un contesto storico non può darsi indipendente dall'analisi delle fonti. Non sempre però questo ordine viene rispettato. Negli ultimi tempi, anzi, la compresenza tra l'impellente desiderio dei dantisti di tornare a usare la storia e l'attardarsi degli storici su domande diverse da quelle che si pongono i dantisti genera difficoltà di comunicazione. [End Page 167]

Prendiamo ad esempio uno dei documenti danteschi più discussi di recente: l'epistola perduta "Popule mee quid feci tibi." Da Leonardo Bruni, che la vide con i suoi occhi, sappiamo che era diretta alle autorità di Firenze e che conteneva un'autodifesa rispetto alle accuse della condanna. Non sappiamo però quando fu scritta. Per stabilirlo sembra utile una riflessione sul contesto. Mentre ancora Umberto Carpi, rimanendo aderente alla lettera del racconto di Bruni che scrive che fu spedita da Verona, la datava all'epoca del primo soggiorno veronese, dunque tra 1303 e 1304 (Carpi 2007: 21), Marco Santagata, nella sua biografia, la sposta in avanti e la mette in relazione con la vicinanza di Dante a Moroello Malaspina, dopo l'ottobre 1306 (Santagata 2012: 395).

È perfettamente possibile che la datazione più bassa sia quella giusta, e non escludo affatto che nuove ricerche possano confermare questa ipotesi, ma essa si fonda attualmente su quattro presupposti legati al contesto che gli storici tendono a ritenere dubbi se non addirittura fallaci. Il primo è che Verona fosse troppo ghibellina perché da lì si potesse spedire una lettera alla guelfa Firenze. Sappiamo invece che proprio sotto Bartolomeo della Scala, unanimemente considerato l'ospite di Dante, Verona si allontanò dai Visconti e si avvicinò al fronte degli alleati di Bonifacio VIII (Varanini 1989). Il secondo è che Moroello Malaspina rimase alleato di Firenze dopo il 1306, mentre sappiamo che iniziò con la capitale del guelfismo toscano un duro contenzioso che finì solo nel 1309 (Salvatori 2006). Il terzo è che nel primo decennio del Trecento i fronti politici rimasero stabili, mentre essi cambiarono intensamente (Milani 2015: 180). Il quarto infine è che la "corte" cittadina degli Scaligeri e quella rurale dei Malaspina fossero strutture politiche simili che selezionassero in modo simile chi si trovava a passare per l'area da esse controllata, e dunque potessero offrire simili supporto e "protezione" a un esule come Dante, mentre si trattava di istituzioni diverse perché la prima era ancora profondamente comunale e dunque assai più aperta ad accogliere personaggi di diverso orientamento e assai più restia tuttavia a farne propri intellettuali "organici" (Varanini 2018...

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