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  • Scoto contro Scoto sull’argomentoprincipium eodem modo se habens uniformiter agit
  • Guido Aalliney (bio)

In questo contributo si intende mettere alla prova la tradizionale attribuzione a Scoto di una delle sue opere meno note e frequentate dagli studiosi, le Collationes oxonienses. Si prenderanno in considerazione le questioni dedicate alla volontà, dove viene discussa una delle più importanti e innovative posizioni dottrinali di Giovanni Duns Scoto, la contingenza della fruizione beatifica. Nelle opere maggiori del pensatore scozzese questa posizione, di grande importanza nell’economia della sua teoria della volontà, è sostenuta da un’assunzione ben precisa, il principio principium eodem modo se habens uniformiter agit. Tale principio può fungere perciò da guida per una ricognizione nelle discussioni interne al francescanesimo del primo trecento, consentendo di mettere nel giusto contesto l’atteggiamento dottrinale espresso nelle Collationes oxonienses.

Nella prima sezione si esporrà in maniera sintetica la posizione di Duns Scoto in merito alla modalità della fruizione beatifica, sottolineando la novità dirompente della sua dottrina che suppone tale fruizione contingente. Si indicherà poi come il principio principium eodem modo se habens uniformiter agit abbia una funzione filosoficamente decisiva nella difesa di questa posizione.

Nella seconda sezione si mostrerà come i teologi francescani inglesi contemporanei o subito successivi a Scoto siano generalmente vicini alla posizione tradizionale che suppone la fruizione beatifica necessaria, e come le loro critiche alla posizione di Scoto spesso si concentrino proprio sulla validità del principio principium eodem modo se habens uniformiter agit, che assume così un ruolo chiave nel dibattito minorita dei primi due decenni del XIV secolo. [End Page 225]

Nella terza sezione si analizzerà la dottrina espressa dalla q. 21 delle Collationes oxonienses, opera tradizionalmente attribuita a Scoto, mostrando come venga rifiutata la contingenza della fruizione beatifica a favore di una dottrina del tutto simile a quella sostenuta dai teologi inglesi del periodo. In particolare, la difesa della necessità della fruizione beatifica si basa sulla critica esplicita del principio principium eodem modo se habens uniformiter agit. Questo risultato metterà in questione l’attribuzione dell’opera.

Nella quarta sezione si ricostruirà la storia del testo delle Collationes, in particolare nell’edizione a stampa, mostrando le difficoltà che hanno impedito ai lettori dell’edizione di Luca Wadding di cogliere la posizione, eccentrica rispetto alle opere maggiori di Scoto, espressa nella q. 21.

Nella quinta sezione si metteranno a confronto le Collationes e il Quodlibet, quelle che, se ambedue autentiche, sarebbero le ultime opere di Scoto, composte in anni molto prossimi. La comparazione fra la q. 21 delle Collationes e la q. 16 del Quodlibet non porterà a risultati definitivi perché la q. 16 non si esprime con chiarezza riguardo al tema in esame. Le diversità riscontrabili nei passi paralleli faranno però crescere i dubbi sull’autenticità delle Collationes sulla volontà.

Nella sesta sezione si trarranno le conclusioni provvisorie, mostrando come l’autenticità delle Collationes sulla volontà appaia sempre più problematica e indicando nella pubblicazione dell’edizione critica, attualmente in preparazione, uno strumento essenziale per sciogliere i persistenti dubbi.

1. Scoto e la contingenza della fruizione beatifica

Per introdurre il tema di questo studio è opportuno chiarire in via preliminare alcuni punti della dottrina della volontà di Scoto, e in particolare le ragioni che lo portano a sostenere la tesi innovativa della contingenza della fruizione beatifica. Va ricordato che per Scoto la volontà, in quanto perfezione assoluta, è un concetto trascendentale. Ciò significa che la volontà, in quanto libera, è attribuibile tanto all’uomo quanto a Dio; ma che solo in Dio la volontà trova la sua manifestazione più perfetta. Detto nei termini della metafisica scotiana dei [End Page 226] modi dell’essere - finito e infinito -, ciò significa che solo le azioni della volontà che si esauriscono all’interno dell’essere infinito possono acquisire quella caratteristica di perfezione che implica la necessità assoluta, l’unica forma di necessità compatibile con la libertà del principio:

Et ideo oportet ponere finem et voluntatem infinitam, et sic erit necessitas in volendo finem et in producendo amorem […]. Unde tolle bonum infinitum, – igitur non est necessarium illud quod amatur, et per consequens voluntas non necessario illud amat; tolle etiam voluntatem infinitam, – igitur potest aliquando non velle. Et ideo dico quod utrumque requiritur. Unde posita infinitate in obiecto et infinitate...

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