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  • Scylleum Mare: Una nota su Igino e Isidoro nel De Montibus di Giovanni Boccaccio
  • Elsa Filosa

Scylleum mare quod inter Syciliam et Ytaliam Pharon dicimus, a Scylla monstro ex parte Ytalie adiacente denominatum. Quod aiunt saxum esse ingens fere in superiori parte humanam habens effigiem, cum inferiori plures et resectos habeat scopulos, inter quos dum estuosum intrat mare, ab eisdem refractum et inde tumultuans tam ratione sui quam augentis ex concavitate specus ibidem existenti latrantium rabie plurima canum videtur reddere sonum, quod vetuste fabule causam dedit, Scyllam scilicet virginem a Glauco dilectam, dum se lavaret ibidem, veneficio Circis a canibus marinis usque ad inguina fuisse absortam et ibidem detentam perpetuo. Volunt tamen quidam mulierem rapacissiamam fuisse Scyllam et hospites nudare consuetam, et in mare inde deiectam saxo nomen et fabule locum dedisse.

Chiamiamo Scilleo il mare che si trova tra la Sicilia e l’Italia, denominato così dal mostro Scilla che è situato sulla sponda italiana. Com’è noto, l’enorme rupe nella parte superiore sembra mostrare un profilo quasi umano, mentre nella parte inferiore vi sono molti scogli frastagliari, tra i quali entra il mare quando è agitato, creando di conseguenza grande strepito. Per questo motivo, ma anche per il fatto che il suono sembra imitare l’ululato dei cani, tale è stata l’origine dell’antica favola: la vergine Scilla amata da Galuco, mentre si lavava in quel luogo, è stata inghiottita dai cani marini fino all’inguine per maleficio della maga Circe e lì trattenuta per sempre. Ciò nonostante, si tramanda che Scilla fosse una donna estremamente avida e che fosse solita depredare i suoi ospiti e per questa ragione fosse stata gettata in mare. Da qui, ella diede il nome alla rupe e origine alla leggenda.

(De montibus VII 105, traduzione mia) [End Page 345]

Con queste parole Giovanni Boccaccio descrive e definisce il mare Scilleo, ovvero quel tratto di mare tra lo stivale italiano e la Sicilia – oggi comunemente chiamato Stretto di Messina – nel De montibus, silvis, fontibus, lacubus, fluminibus, stagnis seu paludibus et de diversis nominibus maris. Composto intorno al 1355 per svago,1 il De montibus è un repertorio toponomastico del mondo greco-latino, ordinato per sette categorie di enti geografici: appunto, le montagne, le foreste, i laghi, i fiumi, le paludi, e i mari. L’opera è un riflesso del sapere dell’autore, un inventario delle sue letture più svariate. Nell’edizione del 1998, curata da Manlio Pastore Stocchi per la collana mondadoriana Tutte le opere di Giovanni Boccaccio, l’editore presenta un’enorme quantità di possibili fonti, tra le più disparate: autori classici e medievali, corografi, commentatori, viaggiatori. Questa breve nota vorrebbe aggiungere due autori al paragrafo dedicato allo Scylleum mare.

La breve descrizione del mare scilleo di Boccaccio, che si trova nella settima e ultima parte del trattato, ovvero quella dedicata ai nomi dei mari, è basata su diverse fonti. Pastore Stocchi cita in nota (2121 n.173): Pomponio Mela (II, 115); l’Historia Naturalis di Plinio il Vecchio (III, 86–87); ma soprattutto alcuni testi poetici di tradizione classica, come l’Eneide di Virgilio (III, 420–32), le Metamorfosi di Ovidio (XIV, 25–67), il commento alle Bucoliche (VI, 74) e all’Eneide (III, 420) di Servio. A questi, si vorrebbero ora aggiungere due opere conosciute dal Certaldese: le Fabulae del mitografo romano Igino e le Etymologiae di Isidoro di Siviglia.

La voce Scylleum mare inizia con la collocazione geografica di questo mare (“Scylleum mare quod inter Syciliam et Ytaliam Pharon dicimus, a Scylla monstro ex parte Ytalie adiacente denominatum”), che ricorda sia Plinio il Vecchio, sia Pomponio Mela,2 il quale segue molto da vicino proprio Plinio. Nel [End Page 346] secondo paragrafo, Boccaccio evidenzia come il mostro chiamato Scilla altro non è che una grande rupe (“saxum [. . .] ingens”), dandone questa descrizione: “Quod aiunt saxum esse ingens fere in superiori parte humanam habens effigiem, cum inferiori plures et resectos habeat scopulos” (corsivi miei). La ripresa letterale dalle Fabulae dello storico-mitografo Igino è qui evidente. Tra queste favole, che sono una raccolta delle narrazioni fondamentali del mito greco, la 125 con il titolo di “Odyssea,” racconta i particolari del viaggio di Ulisse e di quando l’eroe arriva nello Stretto di Messina:

Inde ad Syllam Typhonis filiam...

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