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  • Dante, la Bibbia, il diritto.Sulle tracce di Uzzà nel pensiero teologico-giuridico medievale*
  • Sara Menzinger

Dopo essersi inerpicati per una tortuosa salita tra le rocce, Dante e Virgilio si ritrovano nella prima delle sette cornici che compongono il Purgatorio, dove i superbi scontano la propria alterigia. Un’alta parete di marmo raffigura proverbiali esempi di umiltà scolpiti con tale maestria, agli occhi del poeta, da superare non Policleto, ma la Natura stessa al confronto.1 Siamo nelle terzine che descrivono ciò che Dante stesso definisce “visibile parlare”, la celebre espressione con la quale il poeta assegna un potere comunicativo verbale al messaggio marmoreo impartito da alcuni esempi di umiltà pietrificati.2 Tra le prime sculture, i poeti vedono rappresentata la storia di Uzzà,3 il quale—stando alla narrazione biblica—, unitosi al corteo di Israeliti al seguito del carro che trasportava le Tavole della Legge nel viaggio per Gerusalemme voluto da Davide, allungò una mano per sorreggere il carro inclinatosi a causa dell’intemperanza dei buoi che lo trainavano: il gesto, anziché guadagnare ad Uzzà l’approvazione divina, causò la sua morte, fulminato da Dio seduta stante per l’arroganza e l’irriverenza dimostrata.4

Fuor da componimenti poetici, Dante ricorse nuovamente a questo exemplum biblico in una delle sue epistole più militanti, per discolparsi dalle accuse di nemico della Chiesa che da tante parti gli venivano mosse.5 Nel polemico dialogo che instaurò con i Cardinali italiani nel 1314, Dante li denunciava infatti di aver fatto imboccare alla Chiesa la strada sbagliata e immaginava di venire da loro additato come un novello Uzzà che si fosse inopinatamente intromesso negli affari ecclesiastici. Tuttavia, [End Page 122] affermava, non era a raddrizzar l’Arca che egli puntava, la cui salvaguardia spettava solo a Dio, bensì a riportare sulla corretta strada i buoi, cioè, nella sua spiegazione, gli ecclesiastici e in particolare i cardinali, colpevoli di avere allontanato la Chiesa dalla retta via.6

La popolarità di queste righe, appartenenti a una delle epistole più note di Dante proprio per l’alta densità politica dei suoi contenuti, venne amplificata dal figlio Pietro Alighieri, non solo nell’ambito della sua attività esegetica dell’opera paterna, ma anche nei propri componimenti poetici. Negli anni giovanili, infatti, quando Pietro risiedeva a Bologna per conseguire presso lo Studium una formazione in ius civile, si cimentò con la composizione di rime dal tono spesso polemico, motivato dal risentimento per la condanna di cui il trattato paterno della Monarchia era stato oggetto.7 Uno degli esempi più eloquenti di tale produzione è rappresentato dalla canzone Non si può dir che tu non possi tutto, “plasmata sul pensiero della Monarchia e sui risentiti accenti dell’Epistola XI”8 dantesca, come attesta l’esplicito richiamo a Uzzà da parte di Pietro,9 in evidente dialogo con le parole del padre nella lettera ai cardinali.

Colpisce come, a distanza di circa un trentennio dalla morte di Dante, l’exemplum di Uzzà ricorra in un’altra epistola politica redatta dal celebre Cola di Rienzo (m. 1354), il quale, ispirandosi largamente a quella dantesca,10 compose in Boemia una lettera dai toni decisamente accesi nel 1351.11 Dopo circa tre anni di allontanamento forzato da Roma, Cola infatti si rivolse al Cardinale Guido di Boulogne parafrasando tacitamente l’exemplum di Uzzà, per discolparsi dalle accuse che avevano determinato il suo esilio e cercare di riabilitare la propria figura.12

Quale messaggio veicolava la storia di Uzzà? Perché in momenti particolarmente significativi delle loro biografie vi ricorsero autori di eccezionale statura politica e intellettuale? In quale misura la narrazione biblica dialogava con convinzioni politiche filoimperiali e ghibelline, che certamente condivisero questi personaggi?

Per rispondere a tali interrogativi è necessario confrontarsi con le numerosissime interpretazioni di cui l’exemplum di Uzzà fu oggetto fin dall’Alto Medioevo, quando nei commentari teologici alle Sacre Scritture cominciò a circolare una complessa spiegazione metaforica del passo. L’approdo del lungo viaggio compiuto nei secoli da Uzzà è rappresentato dal Decretum di Graziano (m. intorno alla metà del XII sec.), fondamentale opera di diritto canonico composta intorno al 1140 e presto assunta a riferimento dai canonisti prima di Bologna e poi di tante altre scuole italiane [End Page 123] ed europee...

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