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  • Riforma della Chiesa e riforma della predicazione:La precettistica ecclesiastica sul predicare nel XVI secolo
  • Samuele Giombi (bio)

Si sceglie di assumere come riferimenti temporali post quem e ad quem proprio i due termini posti dal titolo generale del seminario: il Libellus ad Leonem X (del 1513) e i decreti del Concilio di Trento (sino a quelli conclusivi del 1563). In entrambe queste fonti (il Libellus e i decreti tridentini) risalta il tentativo di disciplinare la predicazione cristiana; ed emerge come, nell’indicare gli elementi per un rinnovamento della Chiesa all’interno del movimento cattolico di riforma, il motivo della riforma della predicazione popolare figuri sempre con notevole rilevanza. Dunque, le due fonti (Libellus e decreti tridentini) sono accomunate, sul piano dei contenuti, dall’avere un medesimo forte riferimento al tema della riforma della Chiesa. Ma sono accomunate, sul piano formale del genere, anche dal fatto che le loro rispettive sezioni dedicate alla predicazione appartengono entrambe ad un genere che potremmo definire di precettistica ecclesiastica sul predicare.

Distinzioni e definizioni preliminari

Si tratta di un genere che, sebbene i confini non risultino sempre identificabili in modo rigido, è bene distinguere rispetto ad altri. Ci muoviamo, cioè, dentro la teorica del predi-care: il “dover essere” del predicare e non il concreto “darsi” della predicazione. E, dentro tale versante teorico, la nostra attenzione si appunta qui sulla precettistica, trascurando per il momento il genere gemello della trattatistica. Manteniamo naturalmente la consapevolezza che questo, ai fini di una ricostruzione del concreto e complesso fenomeno della predicazione, rappresenta un osservatorio solo parziale ed esposto [End Page 89] addirittura al rischio di risultare fuorviante (a causa del suo carattere teorico esclusivamente precettistico e normativo) se non adeguatamente integrato con altre fonti. Tuttavia può conservare una sua autorevole autonomia di fonte per quanto concerne la prospettiva del “dover essere,” cioè delle linee di indirizzo e di disciplinamento da parte della gerarchia: dunque – con tutti i limiti di tale prospettiva – non una “pratica” del predicare, ma una “teorica” vista dalla prospettiva gerarchica.

Le linee portanti della teorica sulla predicazione cattolica di età moderna sono documentate da uno spettro piuttosto ampio di fonti, alle quali gli studi condotti si sono di volta in volta rifatti: riferimenti contenuti nei sermonari e nella vera e propria produzione omiletica o nella documentazione epistolare; costituzioni sinodali (importanti quelle del vescovo Gian Matteo Giberti a Verona nel 1542) o decreti conciliari (in particolare il decreto sulla predicazione del Concilio Lateranense V del 1516, del Concilio provinciale fiorentino del 1517, sino ai concili provinciali milanesi di Carlo Borromeo ed ai due testi tridentini del 1546 e 1563); la vasta trattatistica cattolica proveniente principalmente dagli ordini religiosi non solo di area italiana ma anche precipuamente spagnola.

Ed occorre, inoltre, rimarcare la distinzione fra la precettistica e quest’ultimo genere coevo e simile della trattatistica sul buon predicare o sul buon predicatore. Questo infatti, ancor più fiorente in età postridentina, è prodotto da singoli autori (ancorché ecclesiastici) con l’obiettivo di pubblicare un trattato sistematico (de rhetorica ecclesiastica o sacra o christiana) dalla precipua valenza letteraria allo scopo di “sistemare” la materia di quel vero e proprio genere letterario che diventa nel secondo Cinquecento “il predicare”; mentre per precettistica intendiamo quella derivante dall’autorità o da singoli ecclesiastici (ai diversi livelli), con una eminente intenzione [End Page 90] di regolamentare uno dei fenomeni che stava al centro dell’azione ecclesiale.1

L’una e l’altra (la precettistica e la trattatistica) costituiscono una produzione diffusa sviluppatasi lungo il Cinquecento dopo la fortuna delle artes praedicandi medievali. Di queste artes praedicandi le teoriche cinquecentesche sono in qualche misura eredi sul piano del genere, ma rispetto ad esse si pongono in forte autonomia e discontinuità sul piano dei contenuti abitualmente proposti, giusto a partire dalle posizioni generalmente antiscolastiche che vedremo rivendicate dal Libellus ad Leonem X.

Per tornare specificatamente sulla precettistica, diverse sono i tipi di fonti interessate. Talvolta siamo di fronte a sezioni specifiche de praedicatione comprese entro testi norma-tivo-disciplinari più vasti e generali: come costituzioni o decreti sinodali-conciliari, di emanazione episcopale diocesana o provinciale. Restano esemplari i decreti del concilio provinciale fiorentino del 1517, sino a quelli emanati dal vescovo di Piacenza Paolo Burali...

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