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MLN 119.1 Supplement (2004) S108-S119



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Filologia materiale, filologia congetturale, filologia senza aggettivi

Guglielmo Gorni
Università di Roma I, La Sapienza


Ho fatto un sogno a occhi aperti, un po' nel gusto di Borges. Ero non già a New York nell'anno 2000, ultimo della presidenza di Clinton e settecentesimo dalla visione di Dante. Bensì a Costantinopoli sotto l'imperatore Giustiniano, nell'anno 530 dell'era cristiana e secentesimo dalla nascita di Virgilio, che «Mantua genuit» nel 70 a. C.

Venivo dall'Italia, per prender parte a un congresso di studi sul poeta mantovano. Congresso voluto da Giustiniano (527-565), che da Oriente vuole risuscitare l'impero romano caduto. Combatte i Vandali e manda i suoi generali Narsete (478-574) e Belisario (490-565) a liberare l'Italia dai Goti: «e al mio Belisar commendai l'armi, / cui la destra del ciel fu sì congiunta, / che segno fu ch'i' dovessi posarmi» (Par. VI, 25-27). E nel suo ambizioso progetto di restaurazione si cura anche di rinverdire la gloria letteraria dell'antica Roma, celebrando il suo vate per eccellenza, Virgilio, a sei secoli dalla nascita. «Onorate l'altissimo poeta» è la parola d'ordine. L'Impero d'Occidente è caduto da oltre cinquant'anni, nel 476. Sull'Italia regnano i barbari, e i tempi sono duri.

Sono il solo o quasi che sia venuto dalla penisola. Gli ultimi letterati latini son tutti scomparsi: Ennodio vescovo di Pavia è morto da anni (†521), Cassiodoro (c. 485-580) schiva ogni mondanità e medita di ritirarsi in un suo Vivarium nella natia Calabria. E poi la perdita più grave, Severino Boezio, messo a morte da re Teodorico nel 524. Lui sì che avrebbe onorato Virgilio come si conviene, ma il suo corpo [End Page S108] «giace / giuso in Cieldauro» (Par. X 127-128) già da sei anni. Maestro mio e dei «miei miglior'» a Pavia: ma chi potrebbe rivendicarne l'eredità? No, dall'Italia non viene più alcuna voce di maestro. Dalle rive dell'Africa poteva raggiungerci qui Fulgenzio, la cui Expositio virgilianae continentiae ha fatto tanto discutere, per quel suo decostruire i libri dell'Eneide come un'allegoria della vita umana, in quattro gruppi di tre. Ma neppure Fulgenzio s'è mosso per venire al congresso virgiliano indetto nella vecchia Bisanzio o nuova Roma, ribattezzata Costantinopoli un paio di secoli fa e detta anche familiarmente Big Apple.

Giustiniano, a questa data, non ha ancora tratto «d'entro le leggi il troppo e 'l vano» (Par. VI 12), opera a cui si accingerà più tardi. Ora l'imperatore è tutto preso da sogni di restaurazione latina. E tutt'intorno a lui, che non si è ancora convertito all'ortodossia e crede che Cristo abbia una sola natura, la divina,

      E prima ch'io a l'ovra fossi attento,
una natura in Cristo esser, non piùe,
credea, e di tal fede era contento;
      ma 'l benedetto Agapito, che fue
sommo pastore, a la fede sincera
mi dirizzò con le parole sue.
      Io li credetti . . .
(Par. VI 13-18),

si muovono eretici, scismatici e novatori: ariani, monofisiti, nestoriani, pelagiani, montanisti, aftartodoceti, con mille astratte pretese e infiniti clamori. Chi ci capisce più nulla? Dove sta la verità? In Italia, la regina Teodolinda (m. 625) è ancor lungi dal venire, a imporre ai suoi sudditi l'ortodossia romana. Presto, a quanto si dice, scoppierà qui la rivolta di Nika (gennaio 532), gli azzurri contro i verdi all'Ippodromo: gridano nika ('vinci') come si direbbe, allo stadio, «Forza Italia»: un grido sportivo che diventa una divisa politica. Non si era mai visto, e chissà se accadrà di nuovo.

Sono dei pochi, dicevo, venuti dall'Italia. E il solo o quasi ammesso a tenere la mia relazione in latino, la lingua del poeta che tutti onoriamo, in un congresso che parla greco, lingua egemone del Mediterraneo. Non so se è un privilegio o una condanna, se il mio dire è l'eco di una lingua moribonda, tollerata per curiosità o condiscendenza, oppure un segno di speranza neolatina. Fatto sta...

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