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  • Franco Cassano (bio)

I. La lettura di una pagina del recente libro di memorie di Carlo Lizzani potrebbe essere un utile e sobrio punto di partenza per evitare le esasperazioni che spesso caratterizzano le discussioni sul ruolo degli intellettuali. Lizzani (2007, 56) racconta come Blasetti, subito dopo la liberazione di Roma ad opera degli Alleati, fosse dominato da un profondo pessimismo, che lo portava a pronosticare la scomparsa del cinema italiano a fronte della potenza produttiva del cinema americano e del prestigio di quello dei paesi vincitori (francesi, inglesi, russi). Si era invece, come oggi tutti sappiamo e come allora non potevano sapere neanche i protagonisti, alla vigilia della stagione probabilmente più fortunata del cinema italiano, quella che inizia con Ossessione di Visconti e con Roma città aperta di Rossellini e si impone all'attenzione del mondo intero. E, per rimanere nel campo delle prognosi infelici, come non ricordare che il '68, data-simbolo di una congiuntura storica mondiale nella quale moltissimi intellettuali, giovani e meno giovani, hanno sposato posizioni radicali, arriva alla fine di un decennio iniziato con la celebrazione nel cinema, nella letteratura e nelle scienze sociali, dell'integrazione e della scomparsa di ogni spirito critico? Insomma, quando gli intellettuali parlano di se stessi spesso la loro lucidità si affievolisce, anche a causa di quell'insuperabile conflitto di interessi che nasce dal loro essere nello stesso tempo oggetto e soggetto del discorso. Noi vorremmo provare a sottrarci a questo circolo vizioso e cambiare l'agenda della discussione. Per una discussione sul ruolo dell'intellettuale pubblico ci sembra preferibile partire non dall'ennesimo ritratto a tinte forti della condizione di un ceto (Furedi 2007), ma da una ricognizione dei problemi che si pongono alla generalità degli uomini e non solo ad una categoria di essi. [End Page 133]

2. A nostro avviso esistono tre questioni che segnano il nostro tempo e sulle quali è necessario attirare l'attenzione. Esse sono strettamente collegate ai processi di globalizzazione, che stanno mutando imperiosamente e in modo radicale la nostra condizione. La prima questione è la drammatica perdita di connessione tra i problemi individuali e quelli collettivi.1 Lo scarto crescente tra le sedi istituzionali della politica (in primo luogo gli stati nazionali) e i luoghi dove vengono prese le principali decisioni economiche, l'affermarsi impetuoso e capillare del mercato in territori in precedenza ad essi sottratti, le trasformazioni del lavoro e dell'immaginario, sono tutti fenomeni che hanno tagliato il filo che permetteva agli uomini di tradurre i problemi individuali in problemi collettivi. Domina la scena, infatti, una forma di individualismo radicale che scarta sistematicamente questa connessione e si rinchiude in un esito amaro e paradossale: rispetto ad un passato neanche troppo lontano ognuno è molto meno paralizzato da legami ed interdizioni ed è molto più libero di fronte al mondo. Ma è anche più solo, e quindi, quasi sempre, anche meno forte e meno libero di fronte ad esso.2

Gli esempi sono tanti: si pensi all'enorme estensione del lavoro precario, un lavoro a tempo e sotto ricatto, che spinge il lavoratore a cercare la soluzione, per altro provvisoria, ai propri problemi, separatamente dagli altri lavoratori e anzi spesso in acuta concorrenza con loro. L'insicurezza del singolo non si salda mai a quella degli altri, ma è una questione privata, da affrontare individualmente e in una situazione di costante dipendenza. Non bisognerebbe mai dimenticare l'etimologia dell'aggettivo precario: che si ottiene con preghiera. Precarietà è sinonimo di un rapporto di radicale disparità di potere. Il mondo ci appare sempre più indecifrabile e incontrollabile, un rumore mai riconducibile ad un suono, una matassa confusa di fili intrecciati e dispersi, un brulicare di eventi rischiosi e violenti, di fronte ai quali gli uomini si sentono impauriti e impotenti e l'unica possibilità realistica appare quella di salvarsi da soli.

Ma se tutti i problemi diventano problemi individuali, se l'exit , l'andar via, sostituisce del tutto la voice(Hirschman 1980), l'impegno e la protesta, se lo spazio pubblico scompare per lasciare il campo alle traiettorie degli atomi privati, se al cittadino si sostituisce l'idiotismo del consumatore, continuamente stimolato da un mondo in offerta speciale, i poteri finiscono per sottrarsi ad ogni critica...

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