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  • Storie di incontri (finora) mancati filologia romanza, filologia germanica, filologia celtica
  • Alvaro Barbieri
Benozzo, Francesco. 2002. “Ecdotica celtica e romanza: due modi diversi di non leggere i testi antichi”. Studi celtici1: 21–65.

Culla del pensiero ecdotico e primo laboratorio delle tecniche editoriali, la filologia classica continua ad essere un riferimento importante e un termine di paragone ineludibile per le filologie medievali e moderne (cfr. la scheda di Andrea Rodighiero nel presente fascicolo). Dall’antichistica la filologia [End Page 115]romanza ha tratto ab origineun ricco armamentario di strumenti e procedure, successivamente affilati e perfezionati secondo le particolari esigenze del suo àmbito disciplinare. Si può anzi dire che nel quadro della medievistica siano stati proprio i romanisti ad assumere un ruolo di punta nella ricerca filologico-testuale, sviluppando la più matura riflessione sul metodo e sull’ortoprassi dell’edizione.

Se l’opportunità di un confronto tra ecdotica classica e romanza si è periodicamente riaffacciata sotto la penna degli studiosi più attrezzati e sensibili, 1mi sembra che sia invece mancato, sul terreno specifico dell’ ars edendi, un serio dialogo tra filologie medievali. La vocazione precipuamente linguistico-glottologica della germanistica, nutrita di forti interessi archeologici e antropologici per le antichità germaniche, ha fatto sì che gli approcci critico-testuali mantenessero all’interno della disciplina una posizione importante sì, ma non centrale. 2Quando la filologia germanica ha incontrato la romanistica, ciò è avvenuto soprattutto nel settore storico-culturale e nel campo delle fenomenologie letterarie, con particolare riguardo all’assunzione di modelli francesi in àmbito alto-tedesco medio o ai nessi intercorrenti tra area neolatina e Scandinavia medievale. Non a caso, gli Atti di due recenti convegni tenutisi a Verona e Bologna sui rapporti germanicoromanzi nel Medioevo non contengono interventi consacrati ad aspetti e problemi di natura strettamente ecdotica. 3La sola, lodevole, eccezione è costituita dalla prolusione di Marcello Meli al colloquio veronese, nella quale si sottolinea a più riprese come il mancato travaso di tecniche e metodologie tra romanisti e germanisti rappresenti un’occasione perduta e, allo stesso tempo, un promettente percorso di indagine e approfondimento per il futuro. 4

Ancor più diradate, per non dire inconsistenti, sono state fino ad oggi le occasioni di riflessione su affinità e divergenze tra studi romanzi e celtici in campo critico-testuale. Proprio per questo, va accolto con particolare attenzione [End Page 116]un articolo di Francesco Benozzo consacrato alle esperienze e alle lezioni di metodo che romanisti e celtisti potrebbero proficuamente scambiarsi. L’interesse e l’ampiezza prospettica di questo lavoro si devono anzitutto alla duplice competenza dell’autore, che pratica con pari dimestichezza il dominio neolatino e quello gallese. Comparando ‘posture’ metodologiche e mettendo a confronto concrete realizzazioni, Benozzo cerca di indicare in che modo la filologia romanza e la celtica potrebbero comunicarsi, con reciproco vantaggio, coordinate di base e protocolli operativi. Sostanzialmente bipartito, il pezzo si concentra dapprima sulle carenze della celtistica, poi su quelle della romanistica. Inizialmente, Benozzo mostra attraverso una documentata esemplificazione come la filologia celtica sia contraddistinta da gravi insufficienze tanto sul piano dei presupposti teorici quanto a livello di procedure editoriali. Tra gli esempi addotti, il caso più rappresentativo è offerto da un testo cruciale del Medioevo letterario gallese, il Canu Aneirin(“Cantare di Aneirin”), comunemente indicato col titolo di Gododdin. Questo poema eroico di un migliaio di versi è conservato dal ms. 2.81 della Central Library di Cardiff, noto come Llyfr Aneirin(“Il libro di Aneirin”). Vergato intorno al 1250, il testo del Gododdinsi deve al lavoro di due distinti copisti: al primo (A) spettano le cc. 1–30, mentre il secondo (B) è responsabile delle cc. 30–38. Gran parte delle difficoltà editoriali dipende dal fatto che la sezione trascritta dalla mano B non costituisce una continuazione lineare di quanto precede, ma ripete talvolta, con sviluppi e varianti, alcune strofe esemplate dalla mano A. L’edizione di riferimento, fissata nel 1938 da Ifor Williams e considerata a tutt’oggi dagli specialisti come lo “standard work” sul Gododdin, risolve il problema in modo del tutto insoddisfacente, stampando le varianti di B in coda alle strofe corrispondenti di A e stravolgendo in tal modo la seriazione strofica offerta dal codice unico. 5Si aggiunga che A e B...

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