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MLN 116.1 (2001) 150-161



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Il "fanciullo invecchiato," la "poesia fisiologica" e la "civiltà meccanica"*:
il senso dell'età umana, dell'arte e della società negli Ossi di seppia di Eugenio Montale

Paola Sica


Nel corso delle sue interviste, Eugenio Montale ha più volte fatto allusione sia all'effetto disgregante che la società tecnologica ha sull'esistenza umana, sia alla funzione catartica della poesia, una funzione che si riflette nelle sue opere, inclusa Ossi di seppia. In "Della poesia d'oggi" (4 novembre 1931), Montale dichiara:

La nuova poesia è fisiologicamente toccata dalla "civiltà meccanica del nostro tempo," ma supera, quando lo supera, il suo ambiente. Se un giorno sparissero le macchine, a testimoniare dell'età delle macchine rimarrebbe appunto la poesia d'oggi (Sulla poesia, 558).

È significativo che, parlando della società a lui contemporanea, Montale la definisca "civiltà meccanica," e che, invece, riferendosi alla poesia scritta in tale società, adotti il termine "fisiologicamente." Sembra intendere che la cultura scientifica del suo tempo racchiuda [End Page 150] in sé aspetti negativi che frantumano e degradano l'esperienza. La poesia che ritrae tale cultura, al contrario, agisce organicamente. È un'attività positiva che può "[superare] il suo ambiente," quando riesce a unificare e dare valore all'esperienza. Se l'esperienza può essere metaforizzata tramite l'immagine di un corpo, la scienza è ciò che la rende malata, la invecchia, la uccide. La poesia, o più in generale ogni forma d'arte, invece, la sana, la ringiovanisce, le rende vita.

Anziché del rapporto fra poesia e società, Montale tratta del rapporto fra poeta e società in "Confessioni di scrittori (Interviste con se stessi)" del 1951:

Avendo sentito fin dalla nascita una totale disarmonia con la realtà che mi circondava, la materia della mia poesia non poteva essere che quella disarmonia. Non nego che il fascismo dapprima, la guerra più tardi ancora mi abbiano reso infelice; tuttavia esistevano in me ragioni di infelicità che andavano molto al di là e al di fuori di questi fenomeni (Sulla poesia, 570).

Parlando di sé, Montale descrive il profondo disagio che lo ha portato a fare poesia, ma in contraddizione con quanto sostenuto prima, non collega direttamente la sua attività creativa alla società in cui vive. Per traslato, rivelando una nozione astorica della poesia, egli implica che i poeti, anche se consapevoli degli effetti devastanti di guerre e regimi totalitari, in realtà li trascendono. Poeti sono coloro che vivono in spazi periferici della società, ma, nonostante questo, la sovrastano. Sono i grandi malinconici, i grandi malati, ma, grazie alla loro opera, sono anche quelli che hanno la capacità di curare e curarsi.

Ossi di seppia, la cui prima edizione è apparsa nel 1925, cioè pochi anni dopo la prima guerra mondiale mentre il fascismo si consolidava, riflette le tensioni che Montale fa trapelare dalle sue interviste. Ritrae sia l'estraniamento di un soggetto poetante che vive in una "civiltà meccanica," sia la sua ricerca di una cura attraverso la lingua poetica. Presenta un forte desiderio di annullamento e, allo stesso tempo, un altrettanto forte desiderio di vitalismo.

Per le sue caratteristiche, nel corso degli anni, molti critici hanno visto Ossi di seppia come un'opera in cui prevale una visione nichilista del mondo. Senza menzionare l'intero gruppo di studiosi che si è occupato della questione, è bene ricordare che, già in "Eugenio Montale: poeta fisico e metafisico" del 1946, Pietro Pancrazi riscontra nella raccolta poetica una insistente aspirazione al nulla. Paragonando i crepuscolari a Montale, Pancrazi conclude che, mentre i primi "di [End Page 151] quel 'niente da dire' si compiacevano," Montale "su quel 'niente' s'impunta" (Scrittori d'oggi, 249). Successivamente, in un intervento del 1978, Pier Vincenzo Mengaldo ribadisce che gli Ossi sono "dominati da una volontà di negazione [...] e di imperterrito confronto con la 'necessità' che ci stringe" (Poeti italiani del novecento, 532). Anche più di recente, in una recensione apparsa sul New York Times nel febbraio del 1999, Nicholas Jenkins torna a dire che, con la sua opera, "Montale offered...

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