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MLN 116.1 (2001) 98-129



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Alberto Caracciolo e gli scrittori italiani del primo Ottocento

Luciano Parisi


In questo articolo vorrei descrivere i principali motivi del pensiero filosofico di Alberto Caracciolo (1918-90), accennare al contesto di quel pensiero, e soffermarmi sulla lettura che, nel corso della sua lunga riflessione, Caracciolo ha fatto di alcuni autori del primo Ottocento italiano. 1 Spero di mostrare come i testi dell'uno e degli altri si illuminino a vicenda.

Caracciolo, ha scritto Piovani, è 'forse il solo pensatore italiano che possa essere definito, anche in senso stretto, filosofo della religione, anche nella moderna accezione europea del termine'. 2 L'esperienza religiosa, per lui, è costitutiva della persona umana; non è un surrogato di quella filosofica (come sosteneva Gentile) o una forma [End Page 98] di quella etica (come accade nel Croce di Perché non possiamo non dirci cristiani); è originale ed autonoma; ed è addirittura fondante rispetto alle altre, una struttura della coscienza in forza della quale ogni possibile determinarsi umano--il comunicativo, il filosofico, l'estetico--'assume necessariamente respiro e orizzonte religiosi' (RSM, p. 369; RE, p. 13). Caracciolo ha approfondito questa idea con lo studio di Martin Heidegger e Karl Jaspers, le opere dei quali ha contribuito ad introdurre in una cultura italiana ancora indifferente od ostile (PC, p. 194). Di questi filosofi ha condiviso anche la convinzione che la trascendenza nel mondo contemporaneo non si configura più come Dio, come figura di Dio, ma come spazio di Dio, o Essere, o Nulla. Si tratta di termini apparentemente astratti, che sono in realtà 'pregnanti di esperienza' (RSM, p. 339). Prescindendo da quel Nulla, osserva Caracciolo, non è possibile capire 'i Sepolcri e i Sonetti del Foscolo, né l'Infinito o il Canto notturno di un pastore errante o il Cantico del gallo silvestre del Leopardi, forse neppure i "campi eterni" del 5 Maggio di Manzoni' (RSM, p. 392; PC, p. 210). I riferimenti ai grandi scrittori italiani dell'Ottocento e alla loro sensibilità nei confronti del nulla religioso sono frequenti: Foscolo, Leopardi e Manzoni, secondo Caracciolo, pur essendo divisi da molte scelte letterarie e culturali, e da un ateismo e un cattolicesimo affermati con pari convinzione, esprimono nelle loro opere uno stesso sentimento religioso, rilevante filosoficamente e ultimamente svincolato da ogni adesione confessionale. 3

Per capire quest'interpretazione unitaria, bisogna analizzare con pazienza la filosofia di Caracciolo e il significato nuovo (od antico e dimenticato) che assumono in essa parole date facilmente per scontate. È anche necessario rendersi conto del relativo isolamento di Caracciolo nella cultura italiana del Novecento perché ad esso si collega (oltre alla perplessità che molti provano d'istinto di fronte alle sue tesi, e oltre alla simpatia con cui altri le prendono invece in [End Page 99] considerazione) la sua predilezione per alcuni scrittori del secolo precedente.

1. La religione, per Caracciolo, è un modo autonomo della coscienza. I modi sono figure distinte dell'esistere, non irrelate fra loro, ma tali che la presenza di una esclude quella dell'altra: chi vive in un'opera d'arte, ad esempio, in quanto attualmente la vive, non filosofa (RSM, p. 175; ed anche RE, p. 132; PC, p. 203). Senza enumerare dettagliatamente le articolazioni autonome dello spirito umano che il pensiero filosofico può riconoscere come suo oggetto, 4 Caracciolo si limita ad affermare l'esistenza di un modo religioso in cui la persona si apre alla trascendenza (o, più precisamente, allo spazio della trascendenza e alla dialettica che lo caratterizza). Per descrivere la trascendenza Caracciolo non usa definizioni precise che, in generale, offrono solo una parvenza di conoscenza e impediscono l'ulteriorità costituitiva di ogni pensiero filosofico (RSM, pp. 162-63) e che, nel caso particolare, fallirebbero per voler concettualizzare ciò che è al di là di ogni concettualizzazione. Si serve di cenni (PC, p. 215), di allusioni al rivelarsi di 'una realtà o forza o volontà' che non è della persona 'né di altro che gli sia dato pensare simile a sé' (NR, p. 9), e al cui 'essere e operare si lega il senso ultimo del tutto' (SK, p. 267); e rimanda, reinterpretandole liberamente, 5 alle analisi di Rudolf...

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