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  • Tre premesse e una dichiarazione d’amore. Vademecum per il lettore del «Decameron»
  • Stefano Giannini
Georges Güntert. Tre premesse e una dichiarazione d’amore. Vademecum per il lettore del «Decameron». Modena: Mucchi Editore, 1997. 201 pp.

Negli anni recenti vari ed efficaci sono stati gli interventi critici sulla materia decameroniana. G. si unisce agli altri studiosi con una brillante lezione di lettura di alcune delle più note novelle del capolavoro di Boccaccio.

Nella premessa narratologica, la più ricca del libro, G. discute la scelta della prospettiva critica strettamente esegetica (opposta alla genetica) quale suo privilegiato metodo di analisi; il ruolo decostruttivo del Decameron sugli schemi del passato; e l’uso raffinato della mise en abîme. Secondo G. il lettore comunica con il testo e non con l’autore poiché solo il primo accompagna il lettore nel suo cammino. Il Decameron è quindi un esempio di narrazione gerarchizzata al cui vertice siede, diversamente dalle più recenti posizioni critiche (cfr. M. Picone in Lessico critico decameroniano), un unico narratore principale nel proemio, nell’introduzione alla I e IV giornata e nella conclusione. Coerente con la premessa metodologica, G. sottolinea il primato delle denotazioni spaziali e attoriali per la scansione di un testo (p. 25) e divide la macrostruttura decameroniana in due macro-sequenze: le giornate I–VI e le giornate VIII–X piu’ due novelle eslegi, la VII e la X con la cesura principale dopo la VII giornata. Per G. la X giornata non è più una mera sublimazione di virtù ma un caleidoscopico fluire di eccessi positivi che non conferma l’impianto teleologico e morale da altri ravvisato. La volontà di leggere l’ultima giornata come minimizzazione ironica delle precedenti non sembra tuttavia fornire una definitiva sistemazione del suo ruolo all’interno dell’analisi macrotestuale. Nella premessa teologica G. sostiene la ridotta presenza dell’elemento religioso. Alla posizione incipitaria delle due novelle che direttamente trattano la questione religiosa, non fa seguito nell’opera niente di analogo in modo che Dio e la cristianità sono trattati autonomamente dal resto dell’opera (p. 49), quasi ad affrontare e risolvere in fretta una questione che potrebbe, per l’indole dell’autore (ma non è assente?) diventare un problema. L’analisi di I, 1 e 2 affronta l’irrisolta tensione tra apparire ed essere: chi riuscirà a liberarsi dalle paure della religione, sarà anche in grado di apprezzare “l’audace spettacolo offerto da Ciappelletto” (p. 64) mostrando quindi come etica ed estetica coincidano. Resta però da [End Page 196] intendere quale sia “l’intenzione soggiacente al discorso” (p. 75) (dell’autore? del narratore?) all’interno della novella poiché, se in contralto con il significato letterale, dato il primato assoluto del testo, il contralto non dovrebbe esistere.

La premessa ermeneutica completa il programma enunciato inizialmente: per comprendere un’opera d’arte è necessario limitarsi al testo. Questo è il patto tra esso e il lettore, sostenuto nella mise en abîme di I, 3 ove il Saladino e il mercante ebreo scoprono le loro carte retoriche e decidono, per non soccombere, di attenersi ai soli fatti raccontati riconoscendo l’inanità della ricerca di una verità (di fede) inattingibile dagli esseri umani. Se passiamo dalla teologia alla letteratura, dice G., seguendo quella mise en abîme comunicativa, il lettore è “come orfano dell’autore e [...] dunque il testo va interpretato per quello che è, senza possibilità di rivolgersi a chi l’ha architettato” (p. 103–04); ci si può domandare, quando lontani dalla teologia, se il piano extratestuale non possa essere presente e se sí perchè non utilizzarlo.

Gli ultimi due capitoli sono coerentemente costruiti sopra la prima premessa (cfr. p. 111 per la conferma del suo metodo critico). L’analisi in macrosequenze delle novelle dimostra il raffinato concerto tra mise en abîme e configurazione discorsiva conducenti ad un risultato ormai sempre più visibile nel percorso critico dello studioso, cioè la coscienza di trovarsi con il Decameron di fronte ad un’opera la cui etica coincide con la sua estetica: un modello di ars narrandi, un “elegante gioco di società” in cui ogni novella è parte di una “compiuta realizzazione estetica” (p. 186). G. respinge lo statuto “autoriale” della introduzione alla quarta giornata identificando quell’intervento come “parentesi metanarrativa...

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