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Reviewed by:
  • Filosofia e autobiografia. Un diario al passato
  • Franco Fido
Antonio D’Andrea. Luce sui ricordi: Filosofia e autobiografia. Un diario al pa sato (Fiesole, Edizioni Cadmo. 1998).

Quels livres valent d’être écrits, hormis les Mémoires?

(Andrè Malraux, Les conquérants)

In poco più di 160 pagine Antonio D’Andrea evoca sobriamente vari momenti della sua vita: nato a Messina nel 1916, studente di filosofia alla Scuola Normale Superiore nella seconda metà degli anni trenta, allievo e poi assistente di Guido Calogero all’Università di Pisa, attivo nel movimento antifascista clandestino e esponente di rilievo del Partito d’Azione, collaboratore dei ministri Emilio Lusso Emilio Sereni nell’immediato dopoguerra, e finalmente, per molti anni, docente di letteratura italiana all’Università McGill di Montréal.

Storia intellettuale di un uomo, dunque, in cui alcuni (pochi) avvenimenti della vita privata vengono ricordati spesso perché singolari, ma sempre perché occasioni e stimoli di esperienze mentali. Oppure: storie (piuttosto che storia) della propria vita che diventano ricostruzioni del cammino percorso verso la propria filosofia. Partendo da queste provvisorie definizioni, si potrebbe situare il libro di D’Andrea nel filone illustre delle autobiografie dei filosofi, che va dai venerabili archetipi di Vico e Hume (per non risalire addirittura a Cartesio) al Contributo di Croce, Les mots di Sartre, o L’Amour des commencements di J.-B. Pontalis. Ma in tutti questi casi il racconto delle vicende dell’autore rinvia al corpo già noto dei suoi scritti filosofici o scientifici, rispetto ai quali esso offre un contesto esistenziale ed eventualmente un commento.

Il caso di D’Andrea è diverso. Come nota egli stesso nelle Parole preliminari al libro, la maggior parte dei suoi scritti precedenti «tratta di questioni storiche e letterarie» —con esiti originali e contributi filologico-critici fondamentali, aggiungiamo noi, come si può vedere nei due volumi Il nome della storia. Studi e ricerche di storia e letteratura, del 1982, e Strutture inquiete. Premesse teoriche e verifiche storico-letterarie, del 1993—. Eppure (di nuovo con parole sue), «la passione per la filosofia è stata la passione dominante della sua vita intellettuale». Così, prima di tutto, questa breve autobiografia è in realtà il libro della sua filosofia, l’opera di riflessione filosofica che altri compiti intellettuali e professionali sempre affrontati col massimo impegno non gli avevano permesso di scrivere prima, ma che d’altra parte, data la sostanza di tale filosofia, non poteva non assumere, come vedremo, la forma che ha assunto: e a questo proposito il titolo, Filosofia e autobiografia, non potrebbe essere più esatto.

Con un’operazione di tipo manualistico, potremmo riconoscere nel corso del racconto dei “blocchi” in cui la speculazione filosofica si accampa direttamente sulla pagina, e seguire dall’uno all’altro il maturare del pensiero dell’autore: la fascinazione giovanile per le idee di Croce e il crescente [End Page 206] disagio davanti alle discrepanze fra una teoria filosofica di stampo idealistico e a una pratica critica che si ispirava felicemente al De Sanctis; o ancora davanti a definizioni dell’arte fondate su nozioni come sentimento e immagine che erano scarsamente operanti e non risultavano mai chiarite nella Filosofia della spirito; e i successivi incontri, fra gli altri, col pensiero di Dewey (carattere attivo ed episodico della conoscenza), di Bergson (nozione di durata), di Calogero (riflessioni sull’esperienza estetica e sull’”equilibrio lirico” dell’arte), di Freud (concetto di rimozione e sua parentela con quello di durata; ambivalenza del sentimento, e suo rapporto di continuità con l’arte): e mi rendo conto mentre scrivo di star scontando, nell’aridità e astrattezza della mia lieta, l’arbitrarietà con cui, manualisticamente, ripeto, ho cercato di isolare i punti “filosofici” del libro, per una spece di prova del nove del rapporto necessario fra narrazione e riflessione nella sua struttura.

Al centro del percorso che dicevo, stanno le pagine su Sant’Agostino e su Kant: un Agostino filosofo del tempo e senza mistica, potremmo dire, adibito a una rilettura di Kant senza tentazioni numeniche. L’interesse originario di D’Andrea per l’arte, e la sua diffidenza per ogni ontologia e metafisica trovano qui la strada per la formulazione positiva di un principio filosofico, il dinamismo dell’esperienza. Sappiamo tutti benissimo cos’è il tempo, per...

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