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  • Tradimento dei chierici e lavoratori della conoscenza
  • Romano Luperini (bio)

1. sino alla seconda metà degli anni Settanta gli intellettuali italiani erano abituati da una tradizione ormai secolare a superare l'alternativa obbligata fra autonomia e impegno e a intervenire direttamente nella sfera politica forti di una legittimità conquistata dalla storia culturale del loro ceto e dalla incidenza specifica delle loro opere. Bourdieu fa risalire tale conquista di legittimità a un processo di autonomizzazione del campo intellettuale avviatosi nell'età di Flaubert e di Baudelaire e culminato in un episodio decisivo: l'affaire Dreyfus. È a partire da questo momento, a suo dire, che gli intellettuali cominciano a intervenire nella vita politica in quanto tali, ossia—cito—"con un'autorità specifica fondata sulla appartenenza al mondo relativamente autonomo dell'arte, della scienza e della letteratura, e su tutti i valori associati a tale autonomia-disinteresse, competenza ecc" (2005, 428).

Bourdieu ha il merito di scavalcare l'alternativa fra autonomia e impegno o, se si preferisce, usando la terminologia resa famosa da un saggio di Anceschi, fra autonomia ed eteronomia nell'attività intellettuale. Ad un certo momento della loro storia, e, aggiungerei, in presenza di determinate [End Page 169] situazioni storiche, gli intellettuali cominciano a intervenire sul piano etico-civile spinti da una molla che è tutta interna alla specifica dinamica culturale del loro gruppo: non per tradirla, cioè, bensì per realizzarla compiutamente. Ciò riconosciuto, la presa di posizione di Bourdieu apre una serie di interrogativi sia da un punto di vista storico (per quanto riguarda, cioè, l'indicazione cronologica che suggerisce), sia, soprattutto, da un punto di vista teorico, per la proposta che essa implica e che Bourdieu stesso riassume nella formula "per un corporativismo dell'universale".

In realtà il processo descritto da Bourdieu era probabilmente nato un seco-lo prima rispetto al "J'accuse" di Zola. L'intellettuale-legislatore descritto da Bauman trae la sua origine nell'età dei lumi ed è già perfettamente delineato alla fine del Settecento da Fichte che, parlando della "missione del dotto", la identifica nel "controllo supremo sul progresso effettivo del genere umano nel suo complesso" e nel "continuo promuovimento di questo progresso" (1987, 90). Al dotto, o intellettuale che dir si voglia, è riconosciuta un'autorità che va al di là delle sue competenze specifiche e che riguarda invece il progresso dell'umanità, vale a dire il campo universale dei valori etici e civili.

Sul piano teorico, la formula della "autonomia relativa del campo intellettuale" proposta da Bourdieu potrebbe essere accettata solo se all'aggettivo 'relativa' si desse la stessa importanza che al sostantivo 'autonomia'. Il che non è, probabilmente a causa dell'influenza, sull'impianto teorico di Bourdieu, della formalizzazione strutturalista che lo induce a costruire e isolare sistemi in sé organici e autosufficienti. Anzi, Bourdieu fa dipendere la legittimazione civile e l'autorità politica degli intellettuali esclusivamente dalla loro capacità di conquistare un'autonomia di campo, cosicché questa autonomia finisce per diventare, nel suo pensiero, un valore in sé. La proposta di un corporativismo dell'universale nasce da qui: poiché l'autonomia degli intellettuali presuppone l'universalismo dei valori, il loro stesso corporativismo acquista agli occhi di Bourdieu un rilievo universale, sino a diventare un obiettivo da conquistare e difendere. Ovviamente Bourdieu muove da un intento assolutamente condivisibile: egli intende infatti salvaguardare gli intellettuali dalle ingerenze del potere economico e politico e metterli nella condizione di accrescere il loro potenziale critico nei confronti dei gruppi dominanti. Tuttavia finisce per porre in secondo piano due aspetti della questione, a mio avviso invece fondamentali: quello storico-sociale, e quello ideologico-culturale (da studiare entrambi, comunque, nella loro reciproca strettissima relazione). Il ceto intellettuale ha una sua dina-mica che va considerata all'interno dei rapporti di classe complessivi, senza [End Page 170] separarla dai movimenti dei gruppi di potere, dal vario aggregarsi e disgregarsi del blocco sociale dominante e di quello dominato e dunque dal conflitto delle ideologie e delle interpretazioni del mondo che si confrontano in ogni momento storico. In questa situazione l'autonomia del campo intellettuale è un processo contraddittorio e precario, sottoposto a spinte e controspinte, continuamente inquinato e minacciato, e comunque interpretabile in direzioni di segno opposto a seconda delle condizioni storiche e delle ideo...

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