[BOOK][B] Il jazz in Italia: dalle origini alle grandi orchestre

A Mazzoletti - 2004 - books.google.com
A Mazzoletti
2004books.google.com
Qualche decennio fa, la piccola storia del jazz in Italia si fondava su un suo mito delle
origini, anch'esso piccolo. Da noi–narrava–tutto cominciò nel 1936, quando fu fondato il
Circolo Jazz Hot di Milano e, su iniziativa dei suoi animatori Giancarlo Testoni ed Ezio Levi,
la casa Columbia incise quattro brani. Prima, il nulla. Fin dagli anni Cinquanta, tuttavia,
ricerche pionieristiche, ampiamente citate in queste pagine, avevano scovato qualche prova
che quella data andava retrocessa ai primi anni Venti: com'era logico, dopo tutto, visto che …
Qualche decennio fa, la piccola storia del jazz in Italia si fondava su un suo mito delle origini, anch'esso piccolo. Da noi–narrava–tutto cominciò nel 1936, quando fu fondato il Circolo Jazz Hot di Milano e, su iniziativa dei suoi animatori Giancarlo Testoni ed Ezio Levi, la casa Columbia incise quattro brani. Prima, il nulla.
Fin dagli anni Cinquanta, tuttavia, ricerche pionieristiche, ampiamente citate in queste pagine, avevano scovato qualche prova che quella data andava retrocessa ai primi anni Venti: com'era logico, dopo tutto, visto che proprio allora il jazz aveva conquistato il mondo. Dischi, però, se ne trovarono pochi: restavano quasi solo i ricordi degli anziani e qualche foto. Sicché il mito resistette, così ritoccato: quei pionieri non suonavano jazz. Credevano di suonarlo, ma si sbagliavano. Magari, chissà, manco sapevano suonare. E comunque non contano. Il" vero" jazz italiano nacque nel 1936. Donde veniva una convinzione così tenace? Veniva da una generazione di puristi, animatori di circoli del jazz, quasi carbonari prima della guerra e poi fungheggiati subito dopo, paladini di un'idea nobile di jazz inteso come arte e non come commercio, ben decisi a dichiarare nullo il passato (presunto) corrotto per iniziare dall'anno zero un nuovo calendario. O forse solo ignari del jazz italiano precedente, come ogni generazione è sempre stata. Soprattutto nel clima euforico dell'Italia libera-in macerie sì, ma con le infinite promesse di un mondo da ricostruire-era parso loro naturale autoassegnarsi un ruolo di fondatori. Le penne più brillanti della critica jazz postbellica fecero proprio così: collocarono l'ab Urbe condita al momento in cui essi avevano scoperto il jazz italiano.
books.google.com