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  • Ubertino da Casale dopo il 1325: un possibile itinerario
  • Alberto Cadili (bio)

Nel 1325 Ubertino da Casale “scompare.” La sua vita è sufficientemente nota, nelle linee generali, nelle fasi che lo vedono esponente significativo dei cosiddetti Spirituali, protetto da prelati quali i cardinali Napoleone Orsini e Giacomo Colonna, e in cui, tra forzati momenti di isolamento, compone alla Verna l’Arbor vitae crucifixae (1305 circa) e ad Avignone, presso Clemente V attorno al 1311, vari scritti polemici.1 Con l’elezione di Giovanni XXII nel 1316 la sua vicenda biografica si complica nel rinnovarsi delle precedenti polemiche interne all’Ordine tra Spirituali e Comunità,2 la cui accusa di professare [End Page 257] le dottrine di Pietro di Giovanni Olivi induce il pontefice a incorporarlo, con la lettera Verbum attendentes del 1° ottobre 1317, nell’abbazia benedettina di Gembloux in diocesi di Liegi (probabilmente per difenderlo, dato il tono benevolo della bolla),3 anche se non risultano notizie di una sua effettiva presenza nel cenobio e anzi sembra che sia rimasto ininterrottamente ad Avignone, tra l’altro svolgendo incarichi di una qualche importanza anche per signori temporali4 (nella stessa circostanza Angelo Clareno si reca invece a Subiaco vestendo l’abito celestino). Le dispute non dovevano essere affatto sopite anche negli anni successivi, se la dirigenza minoritica, mediante Bonagrazia da Bergamo (che pochi anni dopo sarà lui stesso perseguito da Giovanni XXII), con le sue nuove accuse (presumibilmente nel tentativo – fallito – di riavvicinare il vertice dell’Ordine al pontefice dopo la frattura del 1322–1323) provoca nei primi mesi del 1325 l’apertura [End Page 258] di un’inchiesta papale,5 alla quale Ubertino si sottrae con la fuga da Avignone. Da questo momento dell’importante rappresentante degli Spirituali non si saprebbe più nulla: il 16 settembre dello stesso anno il pontefice, nell’ordinarne senza successo l’arresto, lo definisce “vagabundus per mundum.”6 E in questo oscuro vagabondare gli storici ne perdono definitivamente le tracce.

Vale anche la pena di ricordare le posizioni di Ubertino in quest’ultima fase in riferimento alla intricata situazione dell’Ordine minoritico (dal 1322 alla controversia tra Spirituali e Comunità si era sommata la disputa tra quest’ultima e il pontefice) e, conseguentemente, in campo ecclesiologico, quali, sulla base dei suoi scritti del terzo decennio, gli studiosi hanno potuto ricostruire. Se nelle vicende della contestata elezione di Bonifacio VIII Ubertino aveva disconosciuto esplicitamente l’autorità papale e, ad esempio, in seguito, aveva assunto il patrocinio dei frati Spirituali ribellatisi in Toscana nel 1312, differenziandosi in ciò dal Clareno, che pur nell’isolamento e nel tacito dissenso sosteneva la necessità [End Page 259] dell’obbedienza anche ai prelati malvagi, con l’apertura della disputa sulla povertà le posizioni si invertiranno: Angelo dalla “ribellione tranquilla” dei suoi eremi, in una dimensione sempre più apocalittica e in una prospettiva di martirio, riterrà che Giovanni XXII per aver rinnegato la povertà evangelica sia ormai eretico e l’autorità trasferita ai dissidenti; invece Ubertino, sebbene in un orizzonte di continuità con le sue opinioni in favore dell’usus pauper contro la dirigenza minoritica, comporrà l’Ego sum via e il Reducendo igitur ad brevitatem in cui sosterrà l’impossibilità di distinguere tra proprietà e uso e l’esistenza del dominium anche nello stato edenico, in contrasto con le posizioni della Comunità ormai ribelle e in analogia con quelle del papa, che anzi sarebbe il committente del primo scritto, aprendo il quale il frate si definisce “servus minimus” di Giovanni XXII.7 Addrittura si troverebbero echi di scritti ubertiniani del decennio precedente nella Ad conditorem canonum del dicembre 1322, con la quale è sferrato l’attacco contro le dottrine sulla povertà della dirigenza riaffermate nel capitolo di Perugia, dichiarate definitivamente eretiche l’anno successivo nella Cum inter nonnullos.8 Quelle dell’Ego sum via e del Reducendo igitur, sono prese di posizione, sottolineate da Potestà9 e soprattutto da Tabarroni, che, se nella prima opera vede un tentativo di salvare quanto possibile dell’ideale francescano di povertà di fronte all’azione del pontefice, nella seconda scorge la volontà di Ubertino di affiancare quest’ultima nel demolire il cuore stesso degli assunti della dirigenza dell’Ordine, ossia la rinuncia a ogni forma di...

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