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Alcuni esempi della relazione tra l’etica stoica e Platone* Francesca Alesse (ILIESI-CNR) Nel corso di una rapida ricognizione dei rapporti che sussistono tra l’etica stoica e l’opera platonica, a lato di un atteggiamento degli Stoici che, in generale, non si mostra favorevole a Platone, si evidenziano tre fattori di cui è opportuno tener conto: in primo luogo il desiderio, manifesto già in Zenone, di emulare Socrate e, quindi, di ricostruire un retroterra socratico per il proprio sistema di dottrine morali; un’operazione in cui i dialoghi platonici giocano un ruolo non inferiore alla restante letteratura socratica; in secondo luogo, l’esigenza di approntare una strategia di difesa contro l’Accademia scettica, una strategia nella quale trova spazio, soprattutto a partire dalla Stoa del II secolo a.C., la possibilità di impiegare un testo platonico in funzione anti-accademica, nel tentativo di replicare all’attacco ma mettendo in discussione al contempo la continuità rivendicata dagli Accademici nei confronti di Platone; da ultimo si deve considerare anche l’insorgere di alcuni dibattiti interni alla Stoa nel modo di interpretare importanti teorie morali e che possono essere messi in rapporto a differenti letture platoniche. Nelle pagine che seguono vorrei presentare alcuni esempi della relazione che è possibile intravedere tra alcuni testi platonici e l’etica stoica – riprendendo motivi su cui mi sono soffermata in passato1 e a cui spero di aggiungere, dove possibile, alcuni sviluppi; tali esempi possono, almeno in parte, essere ricondotti all’uno o all’altro dei tre fattori citati. Le tracce più significative dei dialoghi platonici, con particolare riferimento al Protagora, al Lachete e al Gorgia, si avvertono nelle due più importanti e basilari dottrine morali dello stoicismo antico, ovvero: la teoria dell’unità 1 Alesse (2 * Desidero ringraziare tutti coloro che hanno discusso questo testo durante il Convegno di Gargnano, e inoltre Brad Inwood e Robert W. Sharples che mi hanno successivamente fornito preziosi suggerimenti. 000), 299-309 e (1994), 113-123. 24 Francesca Alesse della virtù2 e il principio ad essa connesso della ἀντακολουθία τῶν ἀρετῶν,3 secondo cui chi possiede una virtù le possiede tutte; e la distinzione dei beni, dei mali, e delle cose che non sono né beni né mali e che gli Stoici, quasi sicuramente per primi, definirono ‘indifferenti’, ἀδιάφορα.4 Esaminando anche rapidamente le testimonianze stoiche relative alla dottrina dell’unità della virtù e indagando sui possibili riferimenti ai testi platonici che esse suggeriscono, ci si imbatte in due dei tre fattori cui ho fatto cenno, cioè, l’impegno nel ricostruire un retroterra socratico privilegiando, almeno in questo caso, il testo platonico, e, al contempo, la tendenza ad attingere ancora a Platone argomenti utili a sostenere la propria interpretazione della teoria dell’unità della virtù contro quella di altri Stoici. Chel’unitàdellavirtùsiaunretaggiosocraticonell’eticastoicaèopinione generalmente accolta e non si deve escludere che esso si sia formato anche attraverso la tradizione socratica non platonica.5 Nella tradizione megarica e nella scuola di Eretria si afferma una concezione fortemente unitaria del bene morale, di tenore nominalistico.6 Si tratta però, in questo caso, di una concezione che non appartiene alla riflessione degli Stoici,7 i quali piuttosto fondavano l’unità della virtù, prima di tutto, sulla definizione della ἀρετή come ἐπιστήμη,8 definizione nella quale si coglie il richiamo all’equazione socratica di virtù morale e ‘scienza dei beni e dei mali’, e poi sul fatto che le virtù particolari hanno θεωρήματα comuni.9 D’altra parte, sia Plutarco che Diogene Laerzio ci informano che Aristone di Chio e Crisippo ammettevano , al pari di Zenone, una relativa diversità tra le virtù particolari, o parti 2 Cf., per Zenone, Plut., De stoic. rep. 1034C (= SVF 1.200); per Aristone, Plut., De stoic. rep. 1034D, Gal., PHP VII, 2, 434-436 De Lacy; Plut., De virt. mor. 440F (= SVF 1.373-376); per Apollofane, D.L., VII, 92 (= SVF 1.406) e infine per Crisippo, Gal., PHP VII, 2 (= SVF 3.256). 3 Cf. D.L., VII, 125 (= SVF 3.295); Plut., De stoic. rep. 1046E (= SVF 3.299 = 61F LS); Clem. Al., Strom. VIII, 9, 30, 1, 99 Stählin-Früchtel-Treu (= SVF 2.349 = 55D LS). 4 Cf. i testi raccolti in SVF 1.191-196 e 3.117-123 (= 58 LS). 5 Per una recente rassegna sulle scuole socratiche e il loro ruolo nel costituirsi dell’etica ellenistica, cf. Decleva Caizzi (2006), 119 ss. 6 Cf., per la scuola di Euclide, D.L., II 106 e VII, 161 (= SSR II A 30-31); per Menedemo...

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