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132 X. La conchiglia Il malvestito non volgeva il capo dal mare alterno, ed al ricurvo orecchio teneva un’aspra tortile conchiglia, come ascoltasse. Or all’Eroe rispose: O Laertiade fulgido Odisseo, so la tua casa. Ma non io pitocco querulo sono, poi che fui canoro eroe, maestro io solo a me. Trovai sparsi nel cuore gl’infiniti canti. A te cantai, divo Odisseo, da quando pieno di morti fu l’umbratile atrio, simili a pesci quali il pescatore lasciò morire luccicando al sole. E vedo ancor le schiave moriture terger con acqua e con porose spugne il sangue, e molto era il singulto e il grido. A te cantavo, e tu bevendo il vino cheto ascoltavi. E poi t’increbbe il detto minor del fatto. Ascolto or io l’aedo, solo, in silenzio. Ché gittai la cetra, io. La raccolse con la mano esperta solo di scotte un marinaio, un vecchio dagli occhi rossi. Or chi la tocca? Il vento. Or all’Aedo il vecchio Eroe rispose: Terpiade Femio, e me vecchiezza offese e te: ché tolse ad ambedue piacere ciò che già piacque. Ma non mai che nuova non mi paresse la canzon più nuova ...

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