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  • Agostino:L’incompiuta rinascita di un adolescente di città in periferia
  • Luca Danti

1. “Centro vs periferia” in Agostino

La prima edizione di Agostino, direttamente sorvegliata da Alberto Moravia, venne pubblicata da Bompiani nel maggio 1945 e, nel marzo 1946, il romanzo vinse “il Premio letterario del dopoguerra” del Corriere Lombardo.1

È quasi impossibile dire qualcosa di nuovo su quest’opera, poiché, su di essa, fin dal suo primo apparire, sono stati versati fiumi d’inchiostro. Per avere un’idea di questa “usura esegetica,” fermo restando che si tratta comunque di un tentativo di sistemazione ormai datato, si possono scorrere i tre lunghi articoli, comparsi su Nuovi Argomenti tra l’autunno 1991 e l’estate 1992, in cui Tonino Tornitore ha cercato di raggruppare e organizzare i numerosi contributi della critica, venuti alla luce nell’arco di circa mezzo secolo.2

Una pressoché inedita prospettiva ermeneutica che sembra ragionevole adottare, consiste nello studiare Agostino alla luce della dialettica “centro vs periferia” così come la presenta Francesco Orlando nella sua lettura del Gattopardo (1958), con l’intento, anche, di dare ragione del successo internazionale del romanzo di Tomasi di Lampedusa [End Page 157] che, a prima vista, potrebbe sembrare in odore di regionalismo asfittico.3 Eppure il milieu storicogeografico del Gattopardo, pur essendo così determinato e inconfondibile, ci parla anche di altro, si allarga indefinitamente ad abbracciare e includere altre epoche ed altri mondi marginali. Secondo Orlando, nel Gattopardo si passa “dall’individualità della condizione periferica siciliana all’universalità di tutte le condizioni periferiche; da una periferia (se la parola può sintetizzarne altre: provincia, meridione, terra arretrata…) a ciò che, pur restando vivamente individuato, tende a diventare la periferia.”4

La Sicilia del Gattopardo viene definita, da Orlando, “periferia” nella sua interezza, periferia del neonato Regno d’Italia e dell’Europa delle Esposizioni universali, anche se al proprio interno l’isola presenta complesse diversificazioni sia dal punto di vista territoriale (Palermo vs Donnafugata) sia dal punto di vista della stratificazione sociale; in altre parole, non si dà, nell’isola, quel livellamento tipico della periferia stricto sensu che è “urbanisticamente e culturalmente il degrado assoluto.”5

Se a rigore di termini qualcuno parlerebbe in maniera più appropriata di provincia piuttosto che di periferia, tuttavia la lettura di Orlando risulta assai più pregnante di qualsivoglia distinguo sociologico, in quanto propone la dicotomia “centro vs periferia” come categoria interpretativa formulata a partire dalle fondamentali acquisizioni dello psicanalista cileno Ignacio Matte Blanco sulla logica dell’inconscio. Riprendiamo ancora le parole di Orlando:

Basta una qualità comune a due cose perché [l’inconscio] le confonda in una sola: virtualmente, nell’insieme di tutte le cose che posseggono quella [End Page 158] qualità. Pure, ed è importantissimo, lungo una simile dilatazione dall’unità verso insiemi via via più ampi, tendente letteralmente all’infinito, una qualche caratteristica della cosa individuale viene sempre conservata. … Un tale misto di generalità composite e di pertinaci particolarità è facile da ricordare in certi nostri sogni; non lo sarebbe meno, a ben riflettere, nella nostra esperienza della poesia, del teatro, della narrativa.6

Considerare centro e periferia due classi logiche, pertanto, non significa mescolare elementi disomogenei, ma, evidenziate le caratteristiche e le specificità di un centro o di una periferia, riuscire a cogliere alcuni tratti sovraindividuali, più universali e astratti che trascendono il caso particolare, una determinata latitudine e un determinato momento storico.7

Una delle prove testuali che avalla questo tipo di approccio anche per il romanzo breve di Moravia, risiede nelle scelte onomastiche compiute dall’autore: “un po’ imbarazzato, Agostino si avvicinò al gruppo. ‘E questo è Pisa,’ disse Berto indicando Agostino. Il quale si meravigliò di questo soprannome datogli con tanta rapidità. Non erano ancora passati cinque minuti che aveva detto a Berto di essere nato a Pisa.”8

La scelta di un toponimo come soprannome è stata in generale trascurata dalla critica,9 che ha preferito interrogarsi sulle ragioni del nome di battesimo del protagonista non accontentandosi della spiegazione autoriale—Agostino si chiama così perché il racconto è stato scritto in agosto.10 Secondo Tornitore, il soprannome è la spia della regressione che Agostino intraprende/subisce entrando nella banda del Saro, quindi nel momento in cui abbandona la borghesia per il proletariato. Una vera e propria...

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